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Un viaggio a fumetti da Belluno a Londra

Un viaggio a fumetti da Belluno a Londra

 

“Qual è la tua professione?”

“Fumettista.”

“Ma come, non è possibile. Il fumettista? Ma se non ce la fa nessuno!“

 

“Invece io ti dico che è possibile. Sono fumettista e illustratore.

Non guardarmi come fossi un alieno o una creatura mitologica.

Tutto quello che ho fatto è stato impegnarmi, studiare, esercitarmi.

Crederci. Restare al passo con le novità di settore, leggere, informarmi.

Continuare a disegnare. E aprire le porte al futuro, superando tutti gli ostacoli.“

 

Il nostro desiderio è che tutti i corsisti MIND rispondano così a queste ipotetiche domande. Perché questo è lo spirito con cui abbiamo scelto di organizzare un corso di fumetto.

Dopo la chiacchierata con Laura Fuzzi, abbiamo avuto il piacere di parlare di fumetti anche con Tobia Maschio. Uno scambio di idee che abbiamo voluto riportarvi qui, sotto forma di intervista. Dedicato a chiunque sogna un futuro che ruoti attorno a disegni e storie da raccontare!

 

Ciao Tobia! Tu sei un illustratore e fumettista: un sogno che è diventato realtà?

Ciao! In effetti mi viene chiesto abbastanza spesso di fare delle illustrazioni e sto lavorando a dei fumetti scritti da me o da altre persone, quindi direi che è una definizione abbastanza calzante. Ora che ci penso, mi viene da dire che sono abbastanza fortunato a poter fare una delle cose che preferisco anche come un lavoro.

Tobia disegnato da Tobia

 

Che percorso hai fatto per arrivare fino a quello che sei oggi? Come hai coltivato la tua ambizione?

Con il senno di poi credo di aver seguito un percorso piuttosto tortuoso. Avrei voluto fare il liceo artistico, ma alla fine ho deciso di studiare al classico. Dopodiché mi sono iscritto all’università a Venezia per studiare lingue orientali, mentre avrei potuto fare tutt’altro.

Durante le superiori, dato che comunque non avevo mai smesso di disegnare, mi sono iscritto ai corsi di disegno dal vero e di teoria e tecniche del fumetto organizzati dal comune di Feltre e tenuti da Roberto Totaro. Lo definirei un bel crogiolo: oltre ad essermi confrontato con i miei compagni di corso ho potuto vedere all’opera professionisti navigati come Piero Dall’Agnol e Massimo Bonfatti. Questo è stato uno dei fattori che mi ha spinto ad imparare di più: ho iniziato ad approfondire da autodidatta lo studio di programmi che mi permettessero di portare a termine in tempi ragionevoli i lavori che iniziavano a venirmi commissionati. Un altro aspetto fondamentale della faccenda è stato quello di provare ad essere costante nell’esercitarmi a disegnare.

Copertina per il singolo “Can’t breathe” del collettivo di DJ Three is a crowd”

 

Hai sempre saputo che il tuo futuro sarebbe stato quello di disegnatore professionista? Quando l’hai deciso?

Oh no! Di sicuro non l’ho sempre saputo. Per rubare le parole di Filippo Scòzzari, direi che disegnare e fare fumetti è un’arte bimba. Più o meno tutti quanti abbiamo disegnato per un periodo più o meno lungo della nostra vita e ad un certo punto, anche da bambini, con i disegni si inizia a dare un’interpretazione delle cose e dei fatti che ci stanno attorno. Io ho continuato a farlo anche quando di solito si smette, ma non è stata una scelta consapevole.

In buona sostanza, se devo pensare al perché disegno, mi viene da dire che lo faccio perché si può. Ad un certo punto mi è stata data l’opportunità di lavorare a progetti ben precisi: illustrazioni per manuali, strisce pubblicate con una cadenza periodica, copertine di libri e dischi, locandine.

 

C’è qualcuno o qualcosa che ha avuto un ruolo determinante in questa tua scelta?

Credo si sia trattato di un processo costante e osmotico. Non c’è stato un punto di svolta definito e collocabile nel tempo. Da piccolo avevo il mio tavolino dove potevo disegnare o giocare con la plastilina e fortunatamente ho sempre avuto accesso a libri, album illustrati, cartoni animati, fumetti, fogli di carta e colori. Se ho sviluppato una sensibilità efficace per questo genere di cose, e non sta a me dirlo, credo che sia stato merito di mia madre.

Ad un certo punto ho avuto per le mani L’indispensabile Calvin e Hobbes di Bill Watterson. Quelle strisce erano strane e non le capivo fino in fondo, ma Calvin diventava una mosca, un dinosauro, un astronauta e nell’ultima vignetta tornava ad essere un bambino. Quel tipo di potere dato dalla fantasia lo capivo bene.

Crescendo ho avuto la fortuna di incontrare amiche e amici con i quali potevo condividere il piacere di diventare dinosauri almeno per cinque minuti al giorno mentre la maggior parte delle altre persone si accontentava delle scarpe con l’aria dentro le suole o di avere il motorino. È così ancora oggi.

Copertina per il singolo “It’s ok, ok?” di Klaodeli, pubblicato dall’etichetta Hello Shitty Records

 

Lavori personali e lavori commissionati. Li affronti con due approcci diversi? Se sì, perché?

Dipende dai casi. Dovendomi confrontare con un committente devo fare i conti con una serie di fattori che determinano il mio modus operandi: tempi di consegna, indicazioni ricevute e compenso. Se inizio un progetto per conto mio si presentano diversi bivi. Si può disegnare per il puro piacere di farlo, ma se si decide di produrre qualcosa che si vuole interessi anche ad altre persone, allora il discorso cambia. A quel punto sono io stesso a dover determinare tempi di realizzazione, ad esigere una coerenza di fondo, a pormi dei limiti. Può sembrare una prospettiva svilente e poco entusiasmante, ma trovo che sia un bel fare, il mettere ordine anche in questo genere di cose.

 

Qual è il progetto più bello a cui hai lavorato (e perché)?

Me ne vengono in mente almeno due, vale lo stesso se li dico entrambi?

Ho fatto parte della redazione della rivista autoprodotta Toast Zine. In quel frangente, oltre a produrre illustrazioni e un fumetto per una delle uscite, ho preso parte al processo creativo e alla curatela editoriale. Abbiamo contattato illustratori e fumettisti che hanno creato i contenuti della rivista e presentato il frutto di questa fatica collettiva all’Afa di Milano, al Gelati di Genova e al TCBF di Treviso. È stato un altro bel crogiolo.

L’altro progetto, al quale sto lavorando da due anni insieme a due miei amici, è una micro etichetta discografica, la MFZ Records. Produciamo principalmente elettronica e, visto che le mie abilità musicali si fermano al flauto dolce (nonostante alle medie avessi imparato a suonare bene Green Sleeves) mi occupo dell’aspetto grafico della faccenda. È una bella sfida che mi ha abituato a ragionare in funzione di supporti tridimensionali come la custodia di una musicassetta o di immagini da pubblicare sui social media.

Post per Inktober 2016 – Box. Ispirato da “L’uomo in scatola” di Kobo Abe

 

Quale invece quello che ti ha messo in difficoltà (e perché)?

Me ne vengono in mente più di quanti non vorrei ricordare, va bene lo stesso se faccio un riassunto?

Le difficoltà maggiori sono molto spesso state generate da problemi di comunicazione. Le linee guida di partenza possono evitare molti problemi, ma molti committenti che ho avuto in sorte di incontrare hanno continuato a cambiare idea in corso d’opera. Le modifiche e gli aggiustamenti sono un diritto di chi commissiona un lavoro, ma potenzialmente si può andare avanti all’infinito. Il peggio è quando, a lavoro finito, qualcuno si ricorda di aver omesso dei particolari fondamentali o di aver modificato il testo che deve essere incorporato all’illustrazione. È un supplizio di Sisifo.

Alcune volte mi sono visto costretto a creare da solo il documento di briefing iniziale facendo una collazione di istruzioni ricevute tramite diversi medium: email, messaggi di Whatsapp, telefonate alle ore più strane. A quel punto si smettono i panni dell’illustratore e ci si vede costretti a vestire quelli del filologo.

 

Secondo te in che modo si può unire passione e professione nel mondo del disegno? Che possibilità ci sono per chi vuole mantenersi disegnando?

Mi viene da dire che non viviamo nel migliore dei mondi possibili, ma al contempo credo che sia un buon periodo storico per chi vuole lavorare in questo campo. C’è un florilegio di pubblicazioni e molte case editrici italiane preparano uscite molto curate dando spazio ad un sacco di autori. Lo stesso accade anche per i periodici e le case editrici che commissionano immagini ad hoc per le copertine dei loro libri o per accompagnare i loro articoli. Sono molto invidioso, in senso positivo, del lavoro che stanno facendo alcuni illustratori che ho anche la fortuna di conoscere personalmente: Caterina Di Paolo, Alice Iuri, Carol Rollo e Alberto Fiocco sono tra i primi che mi vengono in mente.

Poster per la NGO Shipbreaking Platform

 

Sappiamo che ti sei appena trasferito a Londra. Com’è il panorama lavorativo inglese?

Non voglio sembrare forzatamente esterofilo, ma devo ammettere che personalmente mi trovo molto bene. Mi sono stabilito relativamente da poco, anche se in una certa maniera ho sempre cercato di bazzicare in Albione. Sono stato esposto in tenera età ai libri di Beatrix Potter, il mio preferito era La storia di due topini cattivi. Da adolescente ho subito il fascino di Jamie Hewlett e credo che Tank Girl sia uno dei motivi per cui ho continuato a disegnare.

La città è un terzo favoloso crogiolo: ci sono fonti di ispirazione dietro ogni angolo, come la London House of Illustration, patrocinata da Quentin Blake, e il Cartoon Museum. È molto facile conoscere persone che a vario titolo lavorano nel campo dell’illustrazione, della grafica o del fumetto. In questo contesto anche l’editoria indipendente è molto florida e l’unico impedimento al realizzare i propri progetti talvolta è la propria pigrizia.

Per quello che riguarda più strettamente il panorama lavorativo, non mi azzarderei a fare dei paragoni. Il lavoro è fatto dalle persone e quindi mi sono trovato sia in situazioni piacevoli sia in situazioni spiacevoli. Se proprio dovessi sbilanciarmi credo di poter affermare che c’è un numero maggiore di opportunità. Londra è abitata da quasi nove milioni di persone e di conseguenza le probabilità di riuscire a fare ciò che si vuole fare aumentano.

Altro poster per la NGO Shipbreaking Platform

 

Rifaresti tutto o cambieresti qualcosa nella tua carriera professionale?

Credo che non cambierei nulla. Al massimo potrei dire che, col senno di poi, avrei potuto fare alcune cose diversamente o con maggiore costanza, come fare esercizio nel disegno o studiare nuove tecniche. Ma se sono capace di fare qualcosa è anche grazie al percorso che ho fatto fino a qui. Non ho il rimpianto di aver scelto un differente curriculum di studi: oltre alla preparazione tecnica ci sono altri aspetti che influiscono sulla formazione di un individuo e quindi anche sul suo operato, in questo caso, come disegnatore. Se avessi fatto delle scelte diverse non avrei conosciuto determinate persone o letto determinati libri o visto determinati posti forse non sarei come sono adesso. Già non si ha abbastanza tempo per fare le cose che si devono fare, figuriamoci per essere dispiaciuti per se stessi.

 

Cosa consiglieresti a dei ragazzi che vogliono diventare illustratori/fumettisti e sono alle prese con il loro portfolio online?

Un sacco di buone idee che non sono farina del mio sacco ma che ho fatto mie prendendo esempio da chi è più bravo, esperto o scaltro rispetto a me. Innanzitutto il portfolio online è un ottimo strumento, perché permette di offrire una panoramica completa su cosa si sa fare. Però appunto deve essere completo: io sono scarso con gli sfondi, quindi mi sforzo di lavorare su questo punto debole, spesso fino alla nausea. Si deve essere convinti di cosa si fa, ma al contempo mi viene da dire che si deve stare attenti a non cadere nella trappola dell’autocompiacimento.

In alcuni casi, quando ci si propone ad una agenzia o si desidera lavorare per un particolare studio è opportuno studiare bene il loro operato e preparare una versione del proprio portfolio che sia in linea con il loro lavoro. Talvolta una lettera di presentazione, breve ma puntuale, può aiutare o essere richiesta.

Non è quasi mai una buona idea lavorare gratis o sottopagati. Se non si riceve niente in cambio non è un lavoro e se si abbassano troppo gli standard per i compensi si lavora col magone e si rovina il campo agli altri. Nel caso delle autoproduzioni, se sono progetti che nascono e sono portati avanti per passione e spesso sono autofinanziati, ci sta di offrire il proprio operato alla causa. Ma al contempo si deve pensare all’ordine di priorità da dare alle cose: per quanto sia fantastico, è pur sempre un lavoro.

Ritratto di Annie Clark/St Vincent per un progetto personale

 

C’è qualche figura nel mondo dei fumetti a cui ti ispiri in particolari modo?

Alcuni nomi sono già saltati fuori, ma ci sono un sacco di altri artisti a cui credo di dovere qualcosa. Mi sforzo di lavorare con uno stile originale, ma chiaramente sono influenzato dal lavoro di un sacco di persone. Si diventa bravi anche copiando, basta mettere dei paletti e non diventare un replicante.

Sono cresciuto in provincia di Belluno e uno dei nostri eroi locali è Dino Buzzati, che oltre ad essere stato un giornalista e uno scrittore ha dipinto, disegnato, illustrato e fatto fumetti. Un’altra serie che mi ha affascinato molto è stata Bone di Jeff Smith, che in Italia ha avuto una storia editoriale abbastanza travagliata. Jeff Smith poi mi ha portato a scoprire Pogo di Walt Kelly, che trovavo nei vecchi numeri della rivista Linus conservati da mio padre.

Temo che potrei andare avanti per ore: ogni fumetto e ogni autore portano inevitabilmente a qualcos’altro. La cosa positiva è che non si smette mai di imparare.

 

Cosa ci consigli di leggere invece? Riviste, profili instagram, libri…quello che ritieni più valido!

Non penso di avere consigli di lettura particolarmente originali, ma ci sono degli autori che mi hanno aiutato parecchio a pensare a come fare le cose: Bruno Munari e Gianni Rodari. Grazie ai loro libri si impara ad organizzare un lavoro in maniera efficace e ad allenare la propria inventiva e la propria fantasia.

Dal punto di vista più tecnico invece i manuali di anatomia di Andrew Loomis sono un punto di partenza valido. Da lì poi grazie a internet si apre un ampio ventaglio di possibilità. I canali Youtube di Jake Parker e di Jamie Noguchi sono delle buone raccolte di tutorial che riguardano sia aspetti più pratici come l’inchiostrazione o la colorazione, sia processi più astratti come la definizione di un progetto e la gestione dei social media.

Più generalmente parlando, credo che si possa trarre ispirazione da qualsiasi fonte sia affine alla sensibilità di un individuo. Basta non smettere di essere curiosi e con un po’ di fortuna si può continuare a trovare più di quello che si stava cercando.

 

Grazie Tobia per averci raccontato il tuo percorso e le tue esperienze, che sono d’ispirazione per tutta la community MIND. Per chi volesse andare a guardare più da vicino i lavori di Tobia, ecco un po’ di riferimenti da annotare:

 

http://tobiamaschio.it/

https://www.instagram.com/thegreatslug/

https://www.facebook.com/thegreatslug/

 

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